Data

24 ottobre 2016

Esperienze oltre le aspettative: Il viaggio in Arabia Saudita tra tradizione e nuova estetica dell'abaya.

Ci sono esperienze che lasciano dentro sensazioni forti. Ci sono luoghi, profumi, episodi che porti con te per diverso tempo. Molti hanno cercato di dissuadermi dal viaggio, troppe informazioni negative. Il periodo peggiore per andare. Soprattutto non ci si può andare senza un invito locale. Rinuncia!

Al ritorno ero consapevole di aver fatto qualcosa di veramente speciale e unico. Jeddah, Arabia Saudita. La città più vicina alla Mecca (70 km) e quindi scalo di tutti i pellegrini da ogni parte del mondo. Prima dell’atterraggio una sensazione insolita, come essere in un aereo-sauna dove gli uomini avevano abbandonato i vestiti occidentali a favore di un asciugamano bianco sulle spalle e uno ai fianchi. Ihram, simbolo di purezza e uguaglianza. Si tocca un luogo sacro e lo si deve fare preparati. Un’immagine virtualmente in bianco e nero dove le donne, a contrasto, avevano indossato la tradizionale veste nera. Abaya. Ero lì per questo. Grazie a una collaborazione tra IED e Lomar – prestigioso brand locale – dovevo ripensare a una sua nuova estetica. Conoscevo l’abito per luoghi comuni, associato a campagne occidentali contro questo fardello che le donne musulmane devono sopportare.

Mi sono sempre chiesto perché nessuno ha mai fatto campagne di liberazione per le nostre donne del Sud costrette in passato a vestirsi totalmente di nero per un lutto familiare. La abaya è per le uscite in pubblico (e nasconde colori vivaci), le “nostre” una divisa per tutta una vita, fuori e dentro casa.
In molte città arabe convivono grandi contrasti che le rendono uniche e Jeddah ne è un esempio: il prossimo grattacielo più alto del mondo (Kingdom Tower, 1km) e non ci sono cinema. Il cibo è ottimo e la parte antica ha bow windows di un verde brillante. Un ricordo bellissimo: il mare al tramonto, di una domenica qualunque, puntinato di donne “nere” e di aquiloni. Famiglie. Normalità. La loro. E infine il progetto.

Tutti i giorni per una settimana. Dalle 9.00 alle 18.00. Quindici donne e io. Come procedere? Sicuramente il primo pensiero è stato quello di capire. Di Capirle. Relazionarmi con loro, velate, trovando un meta linguaggio. Perché portano quella veste? Cosa significa per loro? E’ comoda-scomoda? Come migliorare i movimenti e questa convivenza? E poi: saranno diffidenti con me? Che approccio avere per entrare in sintonia? Come comunicare senza farle sentire a disagio? Tutte domande che hanno trovato una risposta quasi immediata. Tutte avevano brand europei a raccontare la loro vicinanza alla moda e tanti, tanti selfies a raccontare la globalizzazione.

Ho imparato termini come hijab e niqab. Una settimana intensa fatta di ricerca, di studio delle forme e di manipolazione del tessuto. La abaya è un modo per annullare le attenzioni e i giudizi. Tu parli con loro e ti concentri sulla voce, sulla storia che raccontano e su quello che valgono. Non dai un giudizio estetico della donna. Il meglio di se lo dedicano alla famiglia, al marito, agli amici a casa. Non si può giudicare ma solo cercare di capire. Non ho visto rabbia o dolore. Qualcuno direbbe accettazione. Io nemmeno quella. Erano giovani studentesse di moda, o curiose di questo mondo, che si sono confrontate con un metodo, mi hanno raccontato il loro rapporto con la cappa e insieme ne abbiamo realizzato quindici ispirate al rock, agli anni ottanta, al mare…dove nero su nero la bellezza risiedeva nei dettagli.


BIOGRAFIA – Giovanni Ottonello

Si laurea in Architettura a Genova e dopo diverse esperienze in campo museale e scenografico, si interessa al mondo dell’arte e della moda. Ha partecipato all’allestimento e inaugurazione evento del Museo Diocesano di Genova. Ha avuto diverse collaborazioni con la Galleria di Palazzo Spinola e Palazzo Ducale a Genova, con il Piccolo Teatro di Milano e le Scuole di Teatro di Luca Ronconi. Numerose sono le consulenze con aziende (Salvatore Ferragamo, Bottega Veneta, Hugo Boss, Mandarina Duck, Lancia,..). Ha collaborato per docenze, seminari e workshop in diversi enti e istituti di design e moda italiani e internazionali, tra cui Accademia della Scala, Accademia di Belle Arti di Tbilizi, FAD School di Pun, Ural Federal University di Ekaterinburg, Accademia Dante Alighieri di Norimberga, Università Tsinghua di Beijing. Oggi è Art Director IED.

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