Creare ed esprimere valore - oltre l’uso, oltre il tempo, oltre il ruolo cui un capo è destinato nel momento della sua prima creazione. Un valore reso ancora più prezioso dall’immaginazione e dal design.
Su queste premesse nasce Anatomia di una divisa, nuovo progetto di upcycling creativo firmato IED e Humana People to People Italia che si traduce nell’omonima mostra di pezzi unici realizzati a partire dalla decostruzione e riprogettazione di capi workwear second hand non più riutilizzabili. Le creazioni frutto dell’intervento dei designer IED su camici, pantaloni, polo e giubbini da lavoro si possono ammirare dal 25 al 28 ottobre a Next Vintage 2024, consolidato appuntamento autunnale con il fashion e gli accessori d’epoca al Castello di Belgioioso (Pavia), ente fieristico che per la terza volta è partner accademico di IED.
IL PROGETTO E LA MOSTRA
Sono 255 i pezzi second hand non più riutilizzabili messi a disposizione dall’organizzazione di cooperazione internazionale Humana People to People Italia e da cui 17 futuri fashion designer IED hanno realizzato le 11 opere in mostra nelle sale del Castello frutto dell’upcycling di indumenti e camici da lavoro. Le troviamo esposte tra strutture da cantiere e scale in alluminio. Bianco, nero, blu operaio e grigio perla predominano nello spazio in combinazioni cromatiche o colorblock, tra abiti-grembiule che omaggiano il lavoro casalingo e la lotta per l’emancipazione e abiti-tenda che proteggono e svelano parole. La scomposizione, l'assemblaggio di singoli componenti e la stratificazione creano un nuovo arazzo da cui emergono segnali di pericolo, frasi di denuncia sul tema della sicurezza. Un cuore origami sensibilizza sul tema del burnout. Gli indumenti di partenza cambiano del tutto connotazione e utilizzo, dando vita – come si evidenzia dalla mostra – anche a zaini e borse, a simboleggiare il peso della fatica e dei frequenti mancati riconoscimenti sul lavoro.
GLI AUTORI E LE OPERE
Autori delle opere in mostra sono gli studenti e le studentesse Costanza Barbieri e Giulio Censori, Luigi Bonincontro, Gaia Crafa, Matilde D'Istria e Samanta Mustoja, Aurora Dicandia e Ornella Laspada, Carlotta Gadda, Mattia Ginexi, Asia Grassi e Chanel Marangon, Marta Preti, tutti afferenti ai Corsi Triennali di Fashion Design e Shoes and Accessories Design. Ecco le loro creazioni in dettaglio
Costanza Barbieri e Giulio Censori - Il processo creativo si concentra sul lavoratore, forza vitale di ogni azienda, valorizzandone l’individualità e il senso di appartenenza grazie alla divisa. Un percorso di crescita che mira alla consapevolezza del proprio potenziale, esaltando la sinergia tra identità personale e professionale. L’utilizzo di elementi metallici e delle corde evoca l’estetica del lavoro manuale e degli utensili industriali richiamando la funzionalità e l’eccellenza del mondo artigianale.
Luigi Bonincontro – Anatomia di una caduta - Un’opera scultorea, una tela che narra storie di vita reale: nasce dall'intento di unire moda, arte e impegno sociale attraverso l’upcycling, a formare un patchwork di camicie disassemblate, ricucite e rifinite con tecniche grezze ma armoniose. Al centro, un simbolico omino in caduta libera rappresenta con crudezza la vulnerabilità e la mancanza d’integrità nei luoghi di lavoro, una riflessione visiva sugli incidenti che possono derivare da scarse tutele, evidenziando l’urgenza di agire in tema sicurezza. La medesima cura si riflette nella scelta dei materiali e delle tecniche: il tessuto, indurito in modo sostenibile con una miscela di acqua, farina e amido, dimostra come sia possibile sfruttare risorse naturali per dare forma e consistenza all’arte, riducendo al minimo l’impatto ambientale. La moda non è effimera, ma può divenire un potente veicolo di messaggi sociali.
Gaia Crafa, Matilde D'Istria e Samanta Mustoja - Una serie di zaini simboleggia il peso che molti lavoratori sopportano ogni giorno e portano con loro sulle spalle. Lo zaino, realizzato da abiti da lavoro quotidiani, si fa metafora del sovraccarico di mansioni e preoccupazioni, dello sfruttamento a cui possono essere sottoposti: un simbolico macigno legato alla fatica e ai sacrifici, al sopportare condizioni estenuanti senza riconoscimento alcuno, come accade a tanti operai operai. Un “emblema” della loro lotta silenziosa, della dignità e della resistenza quotidiana.
Alan D’Isola - Power of rebirth - Ogni componente dell’abito vuole rappresentare un valore-chiave, la FORZA, attribuita alla figura della donna. In particolar modo, ad ispirarlo è una donna madre lavoratrice, che affronta la vita con determinazione e coraggio. La forza si esprime ad esempio nell’unione di svariate maniche di camici bianchi da lavoro, che avvolgono il corpo femminile dando vita ad un abito sensuale. Dei camici di partenza sono visibili anche le cinture che svolgono il ruolo di accessori.
Aurora Dicandia, Ornella La Spada – Riflettiti e rifletti - Il progetto rappresenta visivamente l’alienazione del lavoratore contemporaneo, mostrando come il lavoro possa frammentare l’identità dell’individuo. Attraverso materiali tagliati e ricomposti, simboleggia la disintegrazione causata da un sistema opprimente. Uno specchio permette allo spettatore di vedersi all’interno dell’opera, coinvolgendolo attivamente. L’obiettivo è stimolare una riflessione profonda sull’impatto del lavoro sulla psiche e sull’identità, trasformando l’opera in un potente veicolo di consapevolezza.
Carlotta Gadda - La divisa è per definizione “un abito con caratteristiche specifiche che viene indossato da persone di una determinata categoria perché siano facilmente riconoscibili”. Si identifica con un ruolo preciso all’interno della società che, realisticamente, si mantiene per buona parte della vita. La si indossa lavorando, giorno dopo giorno, e al pari di chi la porta subisce il passare del tempo e l’usura legata all’utilizzo. Più si logora e si rovina, più interventi vanno fatti per rimetterla in sesto. Il progetto sottolinea l’età dei capi, i loro difetti, le loro “rughe”, attraverso la sovrapposizione di felpe e tessuti tecnici e le manipolazioni che esaltano o simulano l’usura dell’abito. L’immaginario di riferimento è quello del grembiule, con la sua precisa connotazione estetica e gli stereotipi culturali sul ruolo della donna casalinga che si porta dietro: si crea così un parallelismo in cui non è solo il capo ad essere logoro, ma anche quell’insieme di stereotipi che si stanno in realtà logorando.
Mattia Ginexi - Apatia - In un'epoca in cui il lavoro è sinonimo di stress, il burnout emerge come una condizione silenziosa e sempre più presente: 6.794.547 lavoratori in Italia ne soffrono ogni anno. L’energia emotiva del soggetto, dalla sua forma tridimensionale e complessa, viene schiacciata dalle pressioni lavorative, lasciando un cuore piatto, apatico e incapace di provare emozioni.
Asia Grassi e Chanel Marangon - Il progetto si concentra sulla perdita d’identità del singolo lavoratore e sull’omologazione, un fenomeno complesso e multifattoriale (monotonia delle mansioni, mancanza di riconoscimento, assenza di prospettive di crescita, percezione di essere sostituibili) che può emergere in vari contesti lavorativi e influire profondamente sul benessere psicologico e sociale dell’individuo. Alla base c’è una gonna realizzata dalle fodere interne trapuntate dei giubbotti da lavoro. Il fianco combacia con l’inizio di uno strascico realizzato da camici da lavoro sovrapposti e cuciti assieme: vanno a rappresentare la sovrapposizione di più individui che perdono la loro identità.
Claudia Infantino - Grembiule Manifesto - Il grembiule è un indumento che si può associare alla repressione che le donne hanno subito nei secoli, rinchiuse nelle sole figure di mogli e madri. Un capo da lavoro poi usato anche dalle Suffragette come manifesto della lotta per i diritti delle donne. Sono sempre loro a rivendicare il ricamo, che usano come forma di espressione. Quest’abito vuole essere un omaggio a tutte quelle donne che sono state rinchiuse dietro ad un grembiule, senza poter perseguire le proprie ambizioni e dare spazio ai loro talenti, e a quelle a cui ancora oggi viene limitata ogni tipo di libertà, fino a quella di vivere.
Giovanni Maria Piccirilli – FRAGILE - handled without care - Il progetto riflette sulla precarietà e sui rischi fisici insiti in ogni lavoro, tanto più alti quanto più il lavoro è umile, malpagato, sottovalutato. Punto di partenza sono i codici dell’abbigliamento protettivo, le “imbragature” coi loro strati, imbottiture, cavi e corde che generano distorsioni del corpo, costrizioni o dilatazioni.
La mancanza e l’inadeguatezza delle protezioni per i lavoratori più fragili si traducono in capi che, seppur concepiti in partenza come protettivi, si rivelano disfunzionali e deboli, cadono a pezzi, si scuciono e frantumano, lasciando l’individuo scoperto e fragile, vulnerabile. Ogni tessuto e materiale impiegato è di recupero, compresi gli strati in plastica, in origine imballaggio monouso delle divise di lavoro, e i filati intrecciati e lavorati, ottenuti da filo da cucito e da strisce ritagliate da t-shirt. Il passamontagna segna qui l’anonimato cui si vuole costringere il lavoratore, il continuo tentativo di privarlo di identità e umanità.
Marta Preti - Silent Echoes - Un abito lungo, realizzato dall’upcycling di giacche e gilet da lavoro, che riflette sul tema della sovrapproduzione. Ispirato dalla denuncia della coltivazione intensiva dell’avocado in Messico, invita a considerare le conseguenze delle nostre scelte quotidiane. Ogni elemento simboleggia l'importanza di un consumo consapevole. Un pezzo che non è solo moda, ma un appello a ripensare il nostro impatto sul mondo e a scegliere responsabilmente, abbracciando la bellezza della sostenibilità e ricordando che dietro ogni tendenza si celano vite reali.
Per tutte le info su orari, biglietti e arrivo al Castello di Belgioioso, www.belgioioso.it/vintage/